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Beyond the Gates (2016)

By Simone Corà | venerdì 6 gennaio 2017 | 00:01

Un boardgame che arriva dritto dall’Inferno                                                                                                    

Tra sintetizzatori e VHS nostalgiche, Beyond the Gates potrebbe sembrare l’ennesimo tuffo negli anni Ottanta che poco o nulla aggiunge all’ormai corposo revival sanguinolento in atto da qualche anno, ma in realtà il film di Jackson Stewart gioca delle carte molto personali, che non ci si aspetta in un prodotto di fascia così medio bassa.
E anche se non riesce nemmeno a sfiorare una qualche soglia della sufficienza sul piano orrorifico, perché siamo proprio lontani dalla creazione di uno scenario e di un’atmosfera che concretizzi le idee accennate, da un punto di vista squisitamente narrativo, questo piccolo film destinato all’inevitabile anonimato, vince parecchi premi. È una cosa un po’ strana da dire, eppure è così, e ora vi spiego come.

La storia è quella di due fratelli che si ricongiungono in seguito alla scomparsa del padre: uno è un canaglione superficiale e alcolizzato, l’altro un perfettino dal palo in culo, e tra i due non c’è alcuna intesa e nessuna voglia di intendersi. Al centro del conflitto c’è una smisurata videoteca da smaltire e soprattutto un gioco di ruolo scoperto per caso nell’ufficio di papà.
Si tratta di una non meglio precisata sfida a suon di indovinelli e pedine da muovere che trascende spazio, tempo e dimensioni, e una volta aperta la scatola e inserita la VHS istruttiva nel videoregistratore (c'è Barbara Crampton nei panni della diabolica presentatrice), John e Gordon rimangono intrappolati nelle meccaniche demoniache del gioco e non rimane loro che un’unica cosa da fare: giocare.
Se vi sembra di aver già sentito questa storia, sì, okay, Beyond the Gates altro non è altro che una versione horror e sanguinaria di Jumanji: si sceglie la pedina, si risolve l’indovinello, si avanza e di solito chi rimane indietro muore male. Ci sono meno mostri ed effetti speciali, ma il succo è quello.

Il problema di un film così squattrinato è che Stewart non riesce a spremere il poco che ha per dare un qualche risalto alle sue componenti fantastiche, e infatti Beyond the Gates ne esce con una parte, quella legata alla dimensione infernale che sulla carta doveva essere la più succulenta, disastrosa e quasi ridicola, affogata com’è in un diluvio di blu e rossi ed effetti di trucco davvero miseri. Il bello è che arriva solo alla fine e, saggiamente, il regista la stringe in pochi minuti, in modo che ciò che la sua storia sa realmente offrire possa farlo per tutto il resto del tempo.
Perché quello che davvero emerge è il rapporto tra i due fratelli, che non potevano essere più diversi, mentre cercano di ricongiungersi controvoglia nel rispettoso ricordo del padre. Non ci sono mai team up o momenti di gran coraggio dove i due possano fare coppia contro i demoni, non ci sono botte e pistolettate né carichi d’ironia pesante: l’intero film è una semplice cronaca delle loro giornate, una quotidianità irritante per entrambi nella condivisione di ritmi, usanze e ambizioni totalmente opposti.
Chase Williamson e Graham Skipper non sono attori indimenticabili, ma nei dialoghi e negli sguardi non potevano rappresentare al meglio questi due trentenni, uno fin troppo vecchio dentro e l’altro ancora troppo immaturo, che riescono a mettere da parte le ostilità con una naturalezza e un sentimento quasi commovente.


Beyond the Gates è quindi una storia di amicizia ritrovata e di comprensione, che poi ci siano anche videocassette maledette e demoni che fanno esplodere la testa è solo un piacevole contorno. Ci sono infatti un tre-quattro scene di splatter improvviso e violentissimo, che forse nell’economia generale dell’opera non sono ben amalgamate (troppo furiose ed esplosive rispetto a una certa delicatezza ironica complessiva), ma ehi, sono molto ben fatte e a qualche corpo esploso e a rotoli di intestini striscianti non si dice mai di no.
C’è dell’altro? Non mi pare.
Il film si presenta anche bene, ha una fotografia curata e una facciata che nasconde il budget rosicato, ma se l’approssimazione visiva imperdonabile impedisce a una natura horror di emergere e dire la sua, può essere che Stewart non fosse nemmeno interessato a farlo, preferendo concentrarsi in quell’unico, singolo ma potentissimo aspetto che brilla di luce propria. 

E infatti l’abbraccio tra Gordon e John è uno dei momenti più belli del 2016 cinematografico.

2 commenti:

  1. Devo ammettere che ho visto qualche tempo fa il film e l'ho trovato gradevole proprio per le ragioni opposte, ovvero la svolta splatter. Tutta la sequenza "Turn the Key" era inaspettata, almeno per quanto hanno osato mostrare. Al contrario la nostalgia verso gli anni '80 suona spesso "falsa", come in altre produzioni del genere. Non lo so, forse questo è un aspetto generazionale riconosciuto da chi ha vissuto nel periodo.

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    1. Sì, è inevitabile che tutta questa moda nostalgica di cinema e musica possa alla fine colpire solo chi quei tempi li ha vissuti. Dopo tanti film con simili tematiche, siamo arrivati a un punto però dove questo aspetto non è più un vanto o un lato particolare, è semplicemente una scelta estetica/stilistica. Qui effettivamente ha un peso non da poco e finisce per soffocare alcune buone intuizioni.

      A me lo splatter piace moltissimo, e qui è molto goloso, è solo che nel modo in cui è confezionato il prodotto l'ho trovato un po' "strano" e non ben supportato, soprattutto dalla parte conclusiva, dove avrebbe invece dovuto esplodere e invece l'intero film implode in un niente di fatto. :)

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