Metti un viaggio in auto di notte e una lunga strada che
passa in mezzo al bosco
Tutti davano per spacciato Bryan Bertino, una
profezia cattiva ma tutto sommato lecita, guadagnata con un Mockingbird che rovinava le grandi
attese dopo la botta di tensione di The Strangers. A ritrovarlo a qualche anno di distanza con un vero e proprio
horror, per di più sui mostri, veniva difficile farsi convincere, complice
anche un titolo e un’idea di fondo che non ispiravano poi questa gran
curiosità, e invece, con uno Shyamalan-twist abbastanza imprevedibile, Bertino
caccia fuori un grumo di nervosismo e tensione che non solo forgia una creatura
d’altri tempi che sarà bello prendere d’esempio in futuro, ma brilla anche su
quel piano psicologico che poteva essere pestilenziale e condannare tutti i
buoni propositi.
La trama di The Monster si può riassumere in due righe: la
famiglia di Kathy è disastrata, lei è una trentenne profondamente alcolizzata e
distruttiva, e sua figlia, che ha la metà dei suoi anni, la odia a morte. In viaggio
per affidare la ragazza al padre, si ritrovano nel terreno di caccia di una
bestia affamata di carne.
Semplice, snella, è una storia essenziale che si
basa su due enormi punti di forza. Da una parte il tratto più succulento per
gli appassionati, un mostro concreto, spietato, costruito senza l’ausilio di
computer grafica ma solo con la cara, vecchia manodopera di trucco e protesi.
Dall’altra il potentissimo (non) legame tra Kathy e Lizzy, un rapporto
micidiale fabbricato sul dolore e sul disprezzo, sintesi di una famiglia
distrutta e senza futuro, con una figlia che deve occuparsi di una madre
ridotta a brandelli.
Ma se la creatura era potenzialmente affidabile
già in partenza, e durante lo sviluppo del film conferma la sua qualità di
predatore brutale e astuto, è proprio sui continui battibecchi di madre e
figlia, e soprattutto su una manciata di flashback feroci, che Bertino congegna
un film davvero inaspettato.
I dialoghi sono un lungo e ispirato litigio, le reazioni
delle due sempre precise e verosimili, non c’è un solo istante in cui la loro
situazione frantumata sfugga di mano e si trasformi in semplice esagerazione
alcolica o superficialità sociale. Quello che resta della loro famiglia è un
rapporto vero, e gli squarci sul passato sono così selvaggi e aspri da saldare
ancora di più questo legame fragilissimo, che diventa chiaramente punto di
partenza per la seconda metà del film.
Chiarito infatti come la componente psicologica
sia splendidamente gestita, da un punto di vista soprannaturale Bertino si trova
forse più a suo agio soltanto in una prima metà: tra il viaggio in auto, la
pioggia torrenziale e i primi attacchi della bestia la tensione stimolata è
sincera e lascia parecchio tormentati, perché ogni aspetto viene curato con
insperata precisione (il danno all’auto, le chiavi, l’intervento del carro
attrezzi e tutto quello che segue). Il sangue scorre in buone quantità, piovono
arti mutilati e si respiro del sano terrore.
Nella seconda invece il regista si dilunga un
po’ troppo e viene forse a mancare quell’impatto lento e tirato: gli attacchi
del mostro tendono a ripetersi e bisogna aspettare qualche minuto in più prima
di recuperare la freschezza del primo atto. Ma un carico psicologico così ben
disegnato anche la minor compattezza orrorifica viene presto trascinata in una
convulsa fase finale, dove è sempre il rapporto madre-figlia a prevalere e a
sbriciolare un mostro forse meno agghiacciante di come lasciava intuire.
E' una metafora che non disturba, è prepotente,
violenta e incisiva e non oltrepassa mai quel confine che svaluti la storia o
che la snaturi verso altro tipo di cinema. È un Babadook più fisico e concreto,
ma limitato, di sicuro meno ambizioso, con un livello molto più basso di
gestione di rabbia, paura, depressione e una generale crisi famigliare, ma di
certo tra i titoli migliori di quest’anno.
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