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Black Mountain Side (2014)

By Simone Corà | martedì 20 settembre 2016 | 00:01

Scienziati scavano nel nord del Canada e trovano Lovecraft                                       

Inseguivo da parecchio questo Black Mountain Side, titolo vecchio di un paio d’anni che, dopo aver gironzolato nella solita selva di festival, solo a inizio 2016 trova una minima distribuzione, giungendo al BluRay giusto in questi giorni.
L’ambientazione fredda e lontana è sempre deliziosa, il sapore del cinema d’assedio favorisce una salivazione che è difficile contenere, e gli accenni lovecraftiani che si possono qua e là percepire chiudono il discorso.
Certo, è un film derivativo e non lo nasconde, l’intreccio è il consueto grumo psicologico di sospetti e tensioni che costringe i protagonisti a una sanguinosa royal rumble, e le citazioni a La cosa non si limitano a intenti e ambientazioni ma sono sottolineate con l’evidenziatore (lo scienziato che gioca a un videogame come MacReady giocava a scacchi, l’arrivo dell’elicottero).

Con queste basi di partenza, per portare a casa qualcosa di buono, si deve lavorare di scrittura o di effettistica.
Per esempio, nel 2013 Marvin Kren, in Blood Glacier, aveva isolato un gruppo di scienziati sulle Alpi austriache e li aveva fatti combattere con un batterio che mutava gli animali in mostri furiosi, sfruttando bene l’inventiva la fantasia nelle mutazioni della fauna locale. Ma è situazione delicata e bisogna avere idee chiare, perché anche Alec Gillis, in Harbinger Down, si era sbilanciato sulle piacevoli mostruosità, dimenticando però tutto il resto e creando così un disastro da dimenticare.
In Black Mountain Side, Nick Szostakiskwij preferisce invece dialoghi e personaggi, lasciando in secondo piano l’aspetto più raccapricciante e visivo del male ridestato. Ed è la scelta migliore, perché sebbene manchino veri e propri disegni utili a distaccare i protagonisti da una rozza e qualunquista formazione scientifica, viene fornito un bel sottostrato verboso alla deriva cosmica in cui penetra il film.


Siamo nell’estremo nord del Canada, e un gruppo di ricercatori ha riportato alla luce una serie di manufatti inuit e un colossale tempio sepolto nel ghiaccio. La situazione è abbastanza enigmatica perché, a differenza dei soliti materiali studiati, le incisioni trovate sembrano risalire a età e geografie ben lontane dai luoghi in cui si trovano. Sono gli alieni? È Cthulhu che si sveglia dal lungo sonno?
Si sa che a scongelare cose sepolte nei ghiacci si finisce per risvegliare microbi malvagi che creano gran casini, e in soldoni è questo quello che succede in Black Mountain Side. Ma nello stesso modo in cui Szostakiskwij si priva del gusto effettistico per la sarabanda di trasformazioni corporee, non è nell’incipit, né nella trama che il regista/sceneggiatore spara i suoi proiettili migliori, bensì nel lungo e velenoso insinuarsi nella quotidianità del lavoro di ricerca svolto dai nostri.
Inondare un film di dialoghi potrebbe essere rischioso se non sei, boh, un Aaron Sorkin, ma la verbosità di questo clone filosofico de La cosa permette un’immersione graduale nella pazzia che piano piano trafigge tutti gli scienziati. Nel susseguirsi di aneddoti, riflessioni, teorie e battute, si intrecciano urla improvvise, discorsi che si allontanano dalla razionalità, voci sentite durante la notte: i personaggi sembrano realmente perdere la concezione della realtà, annebbiando la mente in un coro di paranoie e scoppi di violenza brutali come pochi.

Non ci sono eroi, né antagonisti contro cui accanirsi, ci sono solo una mezza dozzina di uomini che danno progressivamente di matto, e Szostakiskwij è abile non limitandosi a suggerire la pazzia, ma mostrandola in pieno.
Le voci nella mente sono concretamente sussurrate dall’entità risvegliata, e le ombre che si vedono nel buio appartengono concretamente a qualcosa di non umano.
Seguendo le linee guida dettate dai racconti di Lovecraft, la follia non è quindi un’avaria generata dalla situazione, ma l’unica risposta possibile al terrore incomprensibile che viene evocato, e ogni personaggio ne è inevitabilmente succube perché altre reazioni non sono umanamente concepibili.
Szostakiskwij prosegue nell’applicazione degli insegnamenti lovecraftiani e nella definizione dell’orrore stesso: nel momento in cui il Male prende realmente forma e annienta del tutto la mente degli scienziati, è quanto di più vicino a quell’immagine di cosmicità plasmato dal Solitario. Non ci sono tentacoli, sotterranei o mutazioni marine, l’orrore è altro, è una percezione che scardina le regole e frantuma la normale continuità dell’esistenza, è una continua sottrazione che scaraventa nel nulla.
E anche se viene a mancare un vero e proprio annullamento finale che disintegri lo stato emotivo dei sopravvissuti di fronte all’enigma più oscuro, Szostakiskwij ci arriva con un bel vortice di domande irrisolte, situazioni di disagio e accenni mitologici di grande fascino.


Il resto è un contrasto tra placide sezioni dialogiche, agevolate da una regia dilatata, che privilegia lunghissimi take e pochi interventi di montaggio, e terremotanti violenze gore (teste schiacciate, braccia amputate e parecchio altro), senza alcun tipo di accompagnamento musicale.
L’impronta, o certe intenzioni (la lentezza spropositata, i continui dialoghi circolari), sono quelle del cinema d’autore, ma nonostante la ricerca interessante manca un approfondimento narrativo più deciso: sembra infatti si stia molto in superficie quando si poteva scavare, e la mancanza di psicologie più definite tra gli scienziati blocca in parte l’evidente potenza della storia. Questo è probabilmente l’unica grossa lacuna di Szostakiskwij, perché in un film di personaggi i personaggi devono essere definiti minuziosamente, non accontentandosi delle classiche figure. 
L’altro importante problema è il fattore monetario, ma se si può accettare l’effettistica fai-da-te e fin troppo gommosa (però, ehi, molto sangue e primi piani insistiti, la camera non guarda mai da un’altra parte per risparmiare), è più difficile sopravvivere alla povertà di un cast che ha troppe parole da recitare e poche, pochissime espressioni e movenze per risaltarle a dovere. Bello il contesto innevato, belle la giaccone che soffocano gli sventurati ricercatori, ma per alcune ambizioni servono attori in grado di comunicare quanto richiesto.

Alla fine Black Mountain Side è un'alcova di idee e spunti che, si sa, l’universo indie non può realmente esprimere. È un limite di certo cinema del terrore che, soprattutto negli ultimi anni, bisogna saper comprendere, ma se spesso si fa fatica per l’effettiva scarsità proposta, qui si rimpiange davvero la penuria produttiva che inevitabilmente rovina un’opera molto, molto interessante, che avrebbe meritato ben altro incoraggiamento.
Bravo Szostakiskwij, spero continui su questa strada.

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