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Alieni coprofagi dallo spazio profondo

By Simone Corà | giovedì 5 novembre 2015 | 00:05

Un sacco di cose marroni nell'esordio di Marco Crescizz                                                      

In momenti come questo passo il tempo più a mangiarmi le unghie che a scrivere, mi agito e mi blocco e immagino anche che, a guardarmi da fuori, sia anche abbastanza divertente da deridere, ma una sorta di filosofia sviluppata in questi anni mi mette sempre in crisi quando di mezzo ci sono conoscenti, simpatizzanti, amici immaginari dell’internet e amici della real life (consapevoli o meno, eh).
C’è chi è onesto, e certo, c’è chi lo fa per tornaconto personale, in generale non ho niente in contrario a chi fa eco anche quando c’è di mezzo un qualche conflitto d’interessi se lo fa con serietà e spirito critico, ma io mi son trovato meglio con una tolleranza zero gentile: non si parla di nessuno, ci si limita alla propria strada selezionando magari qualche accenno o qualche riferimento, d’altronde il blog viaggia quasi esclusivamente sul cinema horror indie e a cambiare rotta, anche momentaneamente, poi rischio di non dormire la notte.

Questo pezzo quindi non è una recensione, quel pensiero tormenta sempre e ad agire diversamente mi sentirei un po’ sporchino, ma segnalare l’esordio di Marco, cioè Crescizz (non lo chiamo Marco dal ‘65 e non ho intenzione di cominciare adesso), è il minimo che posso fare (o forse l’unica per togliermi il suo fiato dal collo, dipende un po’ da come si osserva la situazione).
Potrei attaccare dicendo che conosco Crescizz da sempre (non è vero, saranno, boh, dieci anni, da quando si scriveva su Scheletri) ma allora sarebbe un post noioso su banali ricordi di scrittori gioventù, potrei approfittarne per ribadire che con Crescizz ho scritto un romanzo tra parodia e ultrasplatter destinato a cambiare l’universo che cerca editore ma poi sarei un po’ viscido e subdolo, e quindi comincerei con quello che si usa di solito per iniziare, e cioè la trama, ché a partire così è difficile sbagliare, ma alla fine è impossibile, per prima cosa, non chiacchierare a proposito del titolo.


Alieni coprofagi dallo spazio profondo è uno dei titoli più belli che abbia mai incontrato in tutti questi anni di frequentazione editoriale. Mi capite, no?
Lo è per il suo essere scemo e brutale, per il coraggio di usare un termine che il buon gusto suggerisce di evitare se non in ambiti, credo, specialistici, per lo schiaffo al perbenismo e quindi perché, in sostanza, non esiste, non esiste nella scena editoriale qualcosa con lo stesso accento comico e senza freni, qualcosa che si spinga al limite delle argomentazioni possibili e lo sfondi, che vada oltre, che sia così borderline e lo dica con una risata contagiosa.
C’è un motivo per cui non si possa scrivere una storia di alieni che si nutrono di escrementi? Perché dobbiamo essere così condizionati da imporre barriere che tronchino le idee più strampalate e fuori di testa? Perché limitare, chiudere, impedire quando, alla fine, tolta anche una sana provocazione (perché no in fondo?), si vuole solo scrivere una storia? 

Credo siamo tutti un po’ stanchi dello stato tragico dell’editoria italiana, soprattutto di genere, che sopravvive in ambienti piccoli ma chiusi, si richiude su se stessa e non prova a uscire dai canoni più tradizionali. In Italia una storia che si privi della consuete comodità e tenti qualcos’altro viene scartata a priori, c’è timore di osare, c’è una paura fottuta di offendere chi legge, e in questo modo non c’è paradossalmente rispetto per chi, invece, cerca proprio quel diverso che da noi non esiste.
Siamo nel 2015 e ormai internet ha sdoganato tutto. I film della Troma non hanno più alcuna carica sovversiva, gli horror non sanno più che tipo di violenze inventarsi, la pornografia dilaga. Certi manga vengono finalmente tradotti (mmmh... Ichi the KillerElfen Lied?) ma nonostante i contenuti scomodi sono tranquillamente acquistabili anche dai minori: basta un click. E quelli sono davvero scomodi, non degli alieni che sniffano cacca. Ormai si può dire tutto e il contrario di tutto, basta dirlo bene, dev’esserci chiaramente della cultura dietro e della giusta preparazione per presentarsi seriamente al match con l’argomento fastidioso, al resto dovrebbe pensare l’editore che propone il prodotto al pubblico.
Magari non tutti desiderano così ardentemente delle feci come parte sostanziale di un romanzo sci-fi, ed è un pensiero abbastanza condivisibile, ma credo sia impossibile non apprezzarne lo sforzo (suvvia, un po’ di umorismo, perdio!), di Crescizz e di Vaporteppa, che ha creduto in un progetto sulla carta improbabile.


D’altronde Crescizz non è certo il primo a scrivere di cacca, o comunque di produzione intestinale, dandole ruolo importante in una trama.
Stephen King ha impresso immagini, e soprattutto suoni, parecchio difficili da scordare nelle scorreggione che trapanano i protagonisti de L’acchiappasogni quando le creature aliene devono trovare una via d’uscita dal loro corpo.
John Scalzi, per colpa di un peto sganciato contro un diplomatico alieno, che sfortunatamente ne comporta il decesso, fa scoppiare una guerra interstellare in The Adroid’s Dream.
In A me le guardie! Terry Pratchett fa sfidare la forza di gravità a un drago disabile, che non ha mai potuto volare in vita sua, convincendolo a mutare il proprio apparato digestivo in modo tale che la spinta per librarsi in aria non provenga dalle ali ma, be’, dal razzo posteriore.
In Journey to the Center of Agnes Cuddlebottom Mykle Hansen descrive la genesi di una società che si forma rapidamente nell’ano di un’anziana costipata in seguito a un rimpicciolimento di una troupe medica per curarla direttamente alla foce del problema.
I temi qui sono ancora leggeri, d’altronde siamo in una concezione sci-fi destinata a un pubblico parecchio vasto, ma se si vuole scavare un po’ e sporcarsi per bene le mani basta qualche capitolo dei romanzi più tosti degli hardcore writers, da Edward Lee a Wrath James White, con un bell’esempio che li riunisce tutti (e chiama a rapporto anche qualche amichetto come Brian Keene e Jack Ketchum) in un romanzo a molte mani dove la pupù  (e, okay, anche il vomito e qualche fantasma qua e là) è uno dei tormenti principali della povera Arianne in Sixty-Five Stirrup Iron Road.

Nel romanzo di Crescizz gli omini verdi usano le feci umane come potente droga, sono un vero e proprio cartello con uno spaccio consolidato, la loro è una criminalità galattica complessa e con molti ingranaggi umani necessari al funzionamento del meccanismo losco. E Nunzio, poco più che trentenne ma con una vita già misera a causa dell’obesità, che gli nega anche solo un minimo di felicità al lavoro e nella vita privata, rimane intrappolato nella loro malvagia ragnatela ed è costretto a farla tutta e più volte al dì per soddisfare le perversioni extraterrestri dei suoi rapitori.  
Che il romanzo sia bello o meno non sta a me dirlo (okay, dài, a me è piaciuto), io so già che Crescizz è bravo, di certo è ben più capace di me, e alla fine cerco solo di suggerire una storia che, prima di tutto, è scritta bene, si legge veloce e fa molto ridere.

Insomma, provate a mettere da parte certi pregiudizi, a cambiare le smorfie in sorrisi, a dare una chance (perché no) a un romanzo diverso dal solito: vorrete un gran bene a Nunzio e odierete quegli alieni caccolosi con tutto il vostro cuoricino. 

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