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The Midnight After (2013)

By Simone Corà | giovedì 6 novembre 2014 | 08:00

Fruit Chan vuole riassumere Lost in due ore e ambientarlo a Hong Kong. Purtroppo ci riesce.


Decifrare Hong Kong e il suo cinema è cosa complessa e caleidoscopica, lascio l'onere a persone ben più esperte di me e mi limito volentieri a leggerne il report, Stefano Locati ed Emanuele Sacchi sono in gamba e hanno visto TUTTO, con Il nuovo cinema di Hong Kong meritano il vostro tempo se avete un po' di curiosità. 

Ci sono però autori con i quali è sempre importante confrontarsi, pur essendo allineati con il genere e con il quale bene o male saranno sempre ricordati (CHIUNQUE ha visto Dumplings, nella sua versione lunga o nei Three... Extremes) da anni hanno grande cura nell'inquadrare Hong Kong e dare sguardi tristi e feroci sulla città che non dorme mai, e Fruit Chan, dopo aver pasticciato e rattoppato male il flop clamoroso di Don't Look Up, ritorna proprio con una delle più profonde e complicate analisi sul suo paese. Peccato che The Midnight After sia un trattato senza capo né coda e soprattutto senza finale, una visione lucida e folgorante che però non porta da nessuna parte, un frullato di tutto ciò che è stato il cinema di Hong Kong e Hong Kong stesso ma spolpato della sua necessaria energia per avere un qualche utilizzo nella sua interezza.

Probabilmente seguendo la moda del lunghissimo minutaggio che rende necessario un cut per una doppia pellicola da distribuire con un intervallo di qualche mese - perché dubito non ci fosse altro modo per portare al cinema, magari strizzandola e accartocciandola, la web-novel Lost on a Red Mini Bus to Taipo di tale Mr. Pizza, vero e proprio caso mediatico -, Fruit Chan farcisce la sua creatura di leccornie fantascientifiche e dolcetti horror per poi strozzarla con violenza mentre sta ancora masticando. Non ci sono maniglie dove tenersi nel bus senza direzione pilotato dal regista di Dumplings, si viene sbattuti contro i finestrini e addosso agli altri passeggeri come se la strada fosse solo un lastricato di buche, un po' come succede ai protagonisti della pellicola: si salta, si sbatte con la fronte, ci si guarda attorno confusi, ma non ci sono risposte per placare prima l'ansia e poi il nervosismo. Centoventi minuti di durata e non uno stop dove fare il punto della situazione, The Midnight After precipita come un tassello del Tetris verso un abisso di interrogativi sempre più fitto e impenetrabile dove l'unica certezza sono altri tasselli caduti prima, dimenticati e lasciati a marcire.


Ma pensate all'incipit e alla potenza di una simile immagine, perché vedere il caos dell'Hong Kong notturna evaporare seguendo il viaggio di un autobus oltre una galleria che collega due zone della città, è straniante e meravigliosamente gestito nei mille punti di vista e nel solito bombardamento di dialoghi fittissimi. L'ironia è acida e grottesca, che Fruit Chan abbia altro da dire rispetto al semplice mistero è evidente, certe tentazioni meta vengono sparate con un countdown micidiale che lascia senza fiato, e si continua su questa strada ponendo mattone su mattone, solo che la malta è sballata, allucinante, fuori da qualsiasi schema, per non parlare del muratore, che dev'essersi calato due o tre acidi per sciogliersi il cervello.
Pur con un'ossatura post apocalittica sempre evidente, si susseguono deliri incontrollabili fatti di persone misteriose che osservano nell'ombra, gente che si trasforma in pietra, altri colpiti da autocombustione, messaggi dallo spazio, viaggi nel tempo, piogge di sangue, epidemie virali e stupri ferocissimi per non parlare del crocevia di generi che alterna serissima sci-fi a romanticismo melò, demenzialità scema e vero e proprio nonsense, condendo il tutto con una parte musical centrale dove viene reinterpretato addirittura David Bowie. 

Ma si tratta di frammenti, parentesi, briciole di un qualcosa di più grande che non è dato conoscere, sono piccoli pezzi di carta che Fruit Chan sfrutta per parlare del suo paese, delle conflittualità e delle contraddizioni, a partire dal cinema stesso nel suo frullare passato e presente e proseguendo con simbolismi aperti (la città deserta e silenziosa, il riferimento alla Sars) e altri più criptici (cosa nascondono i vari nemici incontrati), difficoltà linguistiche (il battibeccarsi tra cantonese, mandarino e giapponese), integrazione, asperità governative, criminalità e quant'altro possa disegnare l'attuale Hong Kong. L'insieme è incoerente e privo di fluidità, per quanto Simon Yam e Lam Suet divorino la scena (scambiandosi i nomi, il primo si chiama Fat privando il secondo del nome con cui è conosciuto in tutti i suoi personaggi, la follia citazionista di Fruit Chan è anche questa) superandosi in ogni gesto e in ogni parola urlata, non c'è storia in questo collage, ed è per me errore catastrofico, perché Fruit Chan, nel salire in cattedra, sembra dimenticare che è cinema quello che sta facendo, e al cinema serve sempre una storia da raccontare.


Facciamo un esempio: nel 2012 Takashi Miike scrive e dirige Lesson of the Evil, è uno stomacante slasher ultraviolento che sguazza in molti generi, il noir, la commedia, il gore e persino l'horror, e come The Midnight After non è annunciato essere la prima parte di un dittico o di una trilogia, semplicemente esce e viene servito a pubblico e critica, che ovviamente lappano e si massaggiano la pancia perché il film è solido, coinvolgente, la storia è strutturata con gran mestiere e tiene botta fino alla fine nonostante vengano lasciate in sospeso varie questioni e un to be continued lasci la staffetta a una seconda parte che, per il momento, non è ancora in cantiere.
Il film di Fruit Chan invece è giusto un accumulo di situazioni, solo domande che si sovrappongono a interrogativi che sgomitano con what the fuck sempre più contorti e irrequieti, e se le risposte non esistono non vengono seminati nemmeno degli indizi per individuare una qualche traccia da seguire, e quindi questa roba strampalata e incosciente si avvia a un finale del tutto aperto che ha come unico appiglio una qualche speranza che una seconda parte, di cui non si ha alcuna notizia, venga girata. Ma anche in tal caso, io di certo non sarò qui a guardarla.

2 commenti:

  1. Per me il cinema asiatico resta un mistero, conosco ben poco ma ho notato nel mio piccolo opere sconvolgenti (in positivo intendo!)...

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    1. E' un cinema pieno di meraviglie, e con torrenti e muletti è tutto lì da scoprire, basta avere tanta fame :)

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