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Recensione: Double Vision

By Simone Corà | lunedì 17 ottobre 2011 | 08:00

Plasmato di sfuggente religiosità orientale, Dobule Vision è un prodotto raro e di pregevole fascino asiatico pur nella sua non perfetta rifinitura complessiva.

Giocato in maniera divertita su certe voragini culturali tra l’occidente e l’oriente, ma senza lasciare mai in disparte una sofferta componente angosciosa, la pellicola di Chen Kuo-fu verrà ricordata per l’insolita coppia di protagonisti, il bravo Tony Leung per il Taiwan e il sempre sottovalutato David Morse per gli USA, autori di un lavoro di squadra addirittura brillante tanto nel difficile rapporto comportamentale tra due uomini estremamente problematici quanto nei più semplici e leggeri dilemmi di comunicazione. Chen Kuo-fu li immerge in uno scenario caotico e frenetico, utile a marcare lo spaesamento dell’agente dell’FBI inviato a Taipei per aiutare la polizia locale in una serie di bizzarri casi di omicidio, e costruisce con riuscita lentezza una storia soltanto in apparenza complicata: attraverso numerosi flashback e una buona costruzione investigativa nasconde con successo il cuore della vicenda dalla lineare risoluzione, creando atmosfere pregne di tenebra per mezzo di argomenti di notevole suggestione orrorifica, come la via taoista per raggiungere l’immortalità e ciò che essa comporta.

Squarci devastanti, come il neonato morto con quattro pupille, la crudezza sanguinaria e insistita delle immagini per sottolineare la violenza degli omicidi e soprattutto l’impressionante e violentissima battaglia nel tempio taoista dimostrano l’abilità registica di Kuo-fu, sempre attento e ispirato anche nella rappresentazione del non banale dramma familiare di Huang. A cavallo quindi tra il thriller e l’horror, Double Vision confonde e illude lo spettatore senza mai propendere per uno dei due generi, smorzando prima l’interesse soprannaturale e rivitalizzandolo dopo in una continua corsa narrativa e visiva che riesce anche a stupire per lo sviluppo sicuro e professionale dell’indagine.


A danneggiare la pellicola è però un lavoro dialogico assai carente e privo della profondità necessaria per mordere e graffiare adeguatamente: solo in alcuni scambi tra Kevin e Huang si riesce a cogliere una certa attenzione psicologica, e se il mutismo di Huang nei confronti dei colleghi e della moglie è tutto sommato realistico nella rappresentazione del suo delicato dilemma personale, non lo sono le tante verbosità di una così superficiale consistenza da infastidire e amareggiare allo stesso tempo.

2002, HK/Taiwan, colore, 113 minuti
Regia: Chen Kuo-fu
Sceneggiatura: Chen Kuo-fu, Chao-Bin Su

2 commenti:

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